
Lo stalinismo: questo sconosciuto termine inventato nella teoria, fa strage nel quotidiano e nella retorica politica. Ma esiste davvero?
Mi è capitato spesso, ed ancora mi capita un sacco di volte nella vita, essendo noto che alcune riesumazioni provocatorie sono provenute proprio da certe esperienze
per me centrali, che nelle diatribe dialettico/politiche con molti personaggi, definibili o di sinistra o di destra, salta fuori questa definizione: “stalinista”.
Spesso è usato come dispregiativo, senso di distacco, giustificazione di antitesi, diversità (con apparente pulsione libertaria che eleva i soggetti che la pronunciano ad essere “più buoni”) o cosa altro di affine ad una critica politica netta. Ovviamente non manca nemmeno nel senso contrario, ovvero nell’utilizzo pseudo positivo pessimo del supereroe da citare a caso come soluzione delle questioni, e che non è di certo meglio perché non ha a che fare con nulla di concreto, visto che il senso teorico/politico del termine, o di ciò che vorrebbe rappresentare, non esiste.
Si capisce quando lo usa Berlusconi per parlare dei comunisti; si capisce anche quando lo usano le correnti del PD, per darsi addosso l’un con l’altra è delegittimarsi;. e si capisce quando lo usa la sinistrella borghese e inconcludente itaGliana, che grazie al perbenismo inconscio, frutto del marxismo latitante di molti che si definiscono “di sinistra” o peggio “comunisti”, ha campato decenni ed ha garantito a gente come Bertinotti, che ora vede di buon occhio Comunione e Liberazione, di essere considerato un Leader popolare; magari con quella “erre moscia” da aristocratico e una barca a vela che pare il Titanic.
Ma quel che mi fa ridere è che chi muove spesso questa critica-definizione, l’addebita all’idea che, eretto il socialismo, non si debba poi, con l’istituzione di un sistema di governo, far estinguere la classe dominante con i suoi privilegi. La famosa “dittatura del proletariato”, quella “tremenda e brutale dittatura” dell’est imparata dai libri occidentali, che necessita per essere spiegata, appunto, del faccione baffuto, di una foto di un gulag, o di qualche strumentale e gonfiato numero di vittime o incarcerati (mai visti calcolare quelli fatti dalle democrazie).
Ora.
Capisco un anarchico, che nella sua proiezione post rivoluzionaria rigetta ogni forma di governo, se per me con utopia inconcludente, per lui soluzione possibile. Sono punti di vista. Li rispetto per quanto non li condivido.
Ma non lo rispetto e men che meno condivido in bocca ad un essere pensante che si sente o per lo meno definisce “comunista”.
Questi hanno discusso con se stessi, prima ancora che con Marx ed Engels, ed hanno trovato un loro modo di definirsi tali, forse, riscrivendo la storia delle idee.
Nell’abbaglio di attitudini frikkettone e, come direbbe Lenin “piccolo borghesi”, infatti forse per loro Marx ed Engels prevedevano nella soluzione post-rivoluzionaria un robin round di tarallucci e vino o un gioco della bottiglia con la borghesia, una tavolata a Monopoli, un governo a quattro mani, una stretta di mano e poi “ognuno per la sua strada”, una decisione ai rigori, oppure una super-coalizione tutti insieme. Chissà…
Il tutto, badate bene, non rientra nel definire l’applicazione del marxismo necessaria di attualizzazione e contestualizzazione ai tempi moderni, ma di avere un minimo approccio conoscitivo e non usare termini a sproposito. Chi oggi pensa ad una rivoluzione violenta, sia chiaro, per me forse vive di illusioni; ma nella lettura storica delle cose, questo “riscrivere senza conoscere” diventa indecenza ideologica, che genera poi mostri veri e propri nella teoria e prassi attuale della militanza.
Lo stalinismo non esiste, se non per chi lo addebita a caso agli altri, oppure chi si auto-definisce tale per esibizionismo, o per confusione. Perché il culto della personalità ha trionfato in negativo in ogni definizione possibile dello “stalinismo”: che si abbracci o si denigri, atteggiamenti speculari, come disse la più grande storica sul tema, la francese Lilly Marcou.
Altra cosa è la spinta generata dall’icona che ha cavalcato la resistenza e la sconfitta del nazismo, che ha spaventato il sistema capitalistico, usata nel mondo e nel nostro paese in particolare con l’ “ha da venì baffone”.
Atteggiamento rappresentativo che non trova tuttavia corrente ideologica, e che fa struggere tutti i
denigratori del suddetto che vorrebbero cancellarne traccia (tuttavia i fatti sono fatti… Ha vinto lui qui!).
Altra cosa ancora una rievocazione rappresentativa di contrapposizione di piazza o di stadio. È questione estetica, pratica. Strumento che, condivisibile o meno, va letto nel contesto.
Comunque.
Marx ed Engels sono i padri della teoria del comunismo.
Lenin ha ripreso queste linee, le ha interpretate e le ha adattate al contesto russo del suo periodo. Da qui il Marxismo-Leninismo, che, non vi vorrei illuminare, ma finché era in vita Stalin si definiva tale. Perché appunto paradossalmente lo stalinismo nasce con la sua morte, a seguito della de-stalinizzazione (operazione ipocrita di rigenerazione di Krushov).
Mao ha riportato nel suo contesto Marx e difatti il Maoismo, intrecciato con la filosofia orientale e applicato in quel contesto, ed è un’interpretazione di questa idea.
Idem per Guevara e Castro a cuba, intrecciati come Chavez con l’idea Bolivariana di seguire l’unità del sud America; e poi Ho chi min fece altrettanto in Vietnam applicando nel contesto molto differente di un paese iper-colonizzato.
Shankara aveva idee simili e le provò ad applicare in Africa, come altri. Senza troppa elaborazione teorica ma efficientemente applicativa.
I coreani fanno razza a se, tanto che poi definiscono la sua dottrina appunto Ju Che. Quindi elaborazione propria del marxismo.
Ma tutti fanno riferimento a Marx ed Engels come base.
Questo per informare tutti gli scemi che ancora vanno parlando di “Stalinismo”, per un verso o per un altro, che esso, in quanto dottrina non esiste. Semmai è una applicazione, condivisibile o meno, da valutare per il contesto ed il periodo storico, del Marxismo. Ergo, è passare il tempo disquisendo al bar se questo o quello andava bene o meno settanta anni fa.
Unica parte teorica definibile attribuibile di una certa importanza a Stalin fu “anarchia o socialismo” che tuttavia riprendeva pedissequamente le linee di Lenin sulle necessità post-rivoluzionarie, ma non credo nessuno dei “definitori” o degli auto-definitisi tali lo abbiano letto. Poi l’importante lavoro sulla questione nazionale, della quale si occupava essendo georgiano, secondo incarico di Lenin (teoria eccellente che ha fatto stare insieme tutte le repubbliche sovietiche, riconosciuta anche dai suoi detrattori).
Ma tutto questo non ha sostanza se non si parla di quello specifico argomento, ovvero della questione nazionale.
Quindi, posate il fiasco del vino, gli articoletti del Manifesto, di Liberazione, l’Internazionale o di cosa altro mi citate che vi vogliono convincere che esiste lo “stalinismo”, come deviazione malvagia teorica, magari perché così si riesce a convincere la gente che essere comunisti significa ritenere legittimo che uno ha una fabbrica e 300 ci lavorano elemosinando salario.
Non è così.
Non fatevelo raccontare da nessuno. Nel carteggio tra Marx ed Engels (che non hanno ammazzato nessuno, fatto gulag o creato polizie politiche, e forse per questo sono “buoni” e nelle interpretazioni dei borghesi trovano ancora citazione) si discute se lo stato, in quanto “strumento di controllo, perché falsa proiezione di un possibile concilio tra le classi in realtà inconciliabili”, si deve “estinguere” oppure “assopire” (da elaborazione definita “debolezza egeliana da alcuni) oppure direttamente “gli si deve porre fine”. Ma si disquisisce sottigliezze e termini, il disegno e la necessità sono chiare.
Poi, lo so, vi hanno insegnato che c’è lo stalinismo – che non esiste, lo ripeto – a fare la dittatura che spaventa e rovina tutto. Che gli oppositori “eliminati” come Trosky distribuivano caramelle, ma non è così (vedi Kronstadt).
Poi.
Non vi piace l’applicazione leninista e sovietica poi del periodo successivo al 17? Quella dei piani quinquennali di Stalin? Ok. Legittimo. Tanto oggi come oggi è passare il tempo a parlare di cose che hanno poco senso nel concreto attuale.
Ma lo spettro dei dittatori non si cancella con Stalin, nemmeno con Mao, la “dittatura del proletariato” non è elaborazione loro. Mettetevelo in testa. È Marxismo.
Volete continuare a definirvi o definire “stalinista” qualcuno o qualcosa? Fatelo!
Tanto come detto è usufrutto improprio comune, come del resto lo è spesso fascista, termine abusato tanto da contribuire a renderlo comune; “io non sono stalinista” ti dice quello che si vuol sentire meglio, più giusto e libertario, non sapendo dire altro; “sei stalinista” ti dice quello che ti accusa di una posizione intransigente o peggio di prepotenza, “io sono stalinista” l’altro che si da un tono da duro e puro.
Tuttavia la definizione NON esiste in termini politici concreti spesso e volentieri, perché è usata con assoluta ipocrita ed impropria conoscenza.
State perdendo tempo insomma con definizioni inventate ad arte per non parlare del “che fare” attuale, che va riscritto, ovviamente, attualizzando ma senza ipocrisia ed avvitarsi sul passato.
Il problema, forse, è che troppi compulsano quello che NON conoscono. Ci sono già i peggiori giornalisti per questo.
Fine.