Nel 1920, durante un’incontro della Terza Internazione, venne approvata la mozione
dell’americano comunista John Reed che chiedeva all’Urss di Lenin la possibilità di una collaborazione tra gli afro-americani e le università sovietche, Lenin approvò sostenendo che l’incotro tra le due realtà era assolutamente necessario.

Tra il 1925 e il 1938,  90  afro-americani vennero invitati a studiare  presso l’ Università Comunista dell’Est o KUTV.  La maggior parte completarono un programma di 14 mesi, che s’incentrò sui principi fondamentali della teoria marxista-leninista, venne inoltre approfondita una formazione su temi alternativi come spionaggio, guerriglia, codici segreti, e le tecniche di lavoro politico sotterraneo.

Gli studenti neri, come tutti gli studenti stranieri, vennero trattati come ospiti d’onore, ricevendo vitto e alloggio gratuito, indennità di abbigliamento e di viaggio, tutori speciali, vacanze pagate in Unione Sovietica e una casa.  A quel tempo, nessun altro paese avrebbe offerto a un nero tale opportunità.

Nel 1929 gli USA erano preda di una crisi economica – Grande Depressione o Crisi del ‘29 – che aveva prodotto oltre tredici milioni di disoccupati e una generale sfiducia  nei confronti di quel sistema capitalista che si trovava alla base del sogno americano. Chi aveva pregato con tutte le sue forze  di  essere  accettato  nei  grandi saloni di smistamento di Ellis Island cominciò  a  domandarsi  se  quella peripezia  via  mare  affrontata  tempo prima avesse ancora senso; altri, più  intraprendenti  (o  più  disperati),fantasticavano  sulla  nuova  frontiera, quel Far East dipinto come terra di  opportunità  nei  reportage  che  il  giornalista britannico Walter Duranty  (1884-1957) inviava da Mosca.

Stando ai resoconti del corrispondente del «New  York  Times»  l’Unione  Sovietica pareva essere aliena al tracollo finanziario che, da un giorno all’altro,  aveva  lasciato  ai  margini  delle strade  operai  e  dirigenti  d’azienda, liberi professionisti e broker.
I piani quinquennali e lo sviluppo dell’industria pesante potevano apparire agli occhi  dei  lettori  come  una  risposta alla fame di lavoro, di cibo e di speranza che animava intere famiglie ridotte alla miseria. Una nazione nata sull’immigrazione come gli USA non poté  pertanto  stupirsi  se  cittadini americani di origine italiana, tedesca, francese, irlandese avessero deciso di vendere i loro pochi averi per accaparrarsi un posto sui piroscafi che da New York facevano rotta verso Odessa e Leningrado.

Nel 1930 circa 18.000 americani, nella maggior parte di origine africana, fuggirno dagli Stati Uniti d’America per iniziare una nuova vita in Unione Sovietica, lontano da razzismo e povertà, dove li aspettavano lavoro, casa, vacanze e dignità.

L’URSS divenne la patria di migliaia di afro-americani oppressi dal capitalismo americano.

L’URSS mostrò agli afro-americani una nazione lontana dal razzismo e spiegò che secondo la dottrina del marxismo-leninismo il razzismo era una distrazione artificiale creata dalle classi dominanti al fine di dividere i lavoratori e distrarli dalla rivoluzione.

L’URSS riconobbe a tutti gli afro.americani lo status di popolo oppresso cosi come era abitudine fare per gli immigrati provenienti dalle colonie degli stati europei, inoltre si iniziò a parlare di un progetto, purtroppo abbandonato alla morte di Stalin,  che prevedeva la creazione di una repubblica popolare sovietica  dove gli afro-americani e i gli immigrati africani potessero vivere in pace e in libertà.

Gli afro-americani che vissero in URSS avevano un detto: Quando siamo in America, ci sentiamo afroamericani perché amiamo andare in chiesa con i fratelli neri, ci piace il cibo africano, amiamo la musica nera, amiamo un sacco di cose che ci uniscono alle persone di colore. Quando siamo in Russia, ci sentiamo russi.

Fonti:
Blacks in the Soviet Union
In Russia, early African American migrants found the good life
GLI AMERICANI IN URSS