A Tiraspol, c’è un che di solenne nella stella rossa sul cappello dell’ufficiale che vigila sulla frontiera tra Transnistria e Moldova. Un confine che non è segnato sulle mappe, ma che di fatto esiste: è qui davanti. Il suo sproporzionato cappello fasciato di rosso è di gran lunga il più grande di tutti, lui lo sa e con sguardo torvo pretende il rispetto deferente che tutti gli portano. Benvenuti nella Pridnestrovkaja Moldavskaja Respublik, conosciuta in Occidente come l’autoproclamata Repubblica della Transnistria.

Tutto iniziò nel marzo 1992 quando guidati da Igor Nikolaevich Smirnov, ex presidente del Soviet di Tiraspol, gli abitanti imbracciarono le armi per dire che no, loro non ci si riconoscevano nella neonata Repubblica Moldava staccatasi dall’Urss. Loro si sentivano russi e sovietici (allora il 55% della popolazione era di etnia russa o ucraina) e avrebbero combattuto per rimanere tali. Cosa che in effetti fecero, anche perché nei pressi di Tiraspol era di stanza il 14° battaglione dell’Armata rossa che spalleggiò, difese e armò i miliziani della Transnistria. Nel giro di poco l’esercito moldavo si dovette ritirare, si firmò un cessate il fuoco e oggi siamo ancora allo stesso punto, con negoziati virtualmente aperti e una situazione de facto di due governi e due Stati.

Visitando la Transnistria è un tuffo nel passato, son passati cent’anni dalla rivoluzione russa e l’Unione Sovietica ancora è lì e resiste al tempo. A Tiraspol davanti al palazzo che ospita il presidente svetta una statua di Lenin in granito in posa di rito, con mantello e braccio a indicare, il Sol dell’avvenire; un busto sempre di Lenin si trova davanti al palazzo del Soviet Supremo, mentre nei pressi dell’università c’è un busto di Gagarin; accanto al sacrario dei caduti per la guerra del 1991 c’è una stele che ricorda i morti in Afghanistan. Davanti al Municipio ci sono ancora le foto dei compagni cittadini illustri e in generale la toponomastica è ancora ferma a Marx, Engels e i vari eroi del comunismo; sugli autobus le stelle rosse non mancano e tra un palazzo e l’altro bandiere russe si alternano a falce e martello.

Il sottile filo rosso che lega la Transnistria all’Italia

C’è un legame con l’Italia: è il film “Educazione siberiana” realizzato da Gabriele Salvatores nel 2013, tratto dall’omonimo romanzo di Nicolai Lilin, nato proprio a Bender dove è ambientato: le descrizioni dei luoghi del romanzo sono state oggetto di critica e, non a caso, l’autore suscita scarsa simpatia presso i pochi connazionali che lo conoscono.

Ma non è l’unico legame. Sul finire degli anni ’40, in piena Guerra Fredda, l’ideale comunista unisce luoghi improbabili: Tiraspol è gemellata con Carapelle (Foggia), Bender con Montesilvano (Pescara) e con Cavriago (Reggio Emilia): la cittadina emiliana aveva mostrato simpatia per Lenin già ai tempi della Rivoluzione del 1917, quando i cittadini avevano raccolto 500 lire a sostegno del leader russo. Lenin li ringraziò in un discorso pubblico: gli abitanti di Cavriago gli conferirono il titolo di primo cittadino onorario della città. Nel 1970 ricevettero in dono un busto di Lenin portato da una delegazione di Bender. L’originale oggi è custodito nelle sale del municipio mentre sulla piazza, che porta il nome del leader bolscevico, è stata lasciata una copia.

La storia si ripete sempre due volte: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa

Nonostante la loro determinazione, il popolo di questo piccolo stato isolato non poteva da solo scongiurare le devastazioni dell’accerchiamento capitalista. La repubblica fu costretta a fare importanti compromessi politici ed economici per mantenere la sua esistenza. Dovette fare affidamento sulla protezione militare della nuova Russia capitalista per scongiurare le ripetute minacce della vicina Moldavia e dell’Ucraina.

Nel 2016 però, le forze che rappresentano apertamente gli oligarchi capitalisti hanno preso il controllo dello stato.

Il governo di Transnistria e la sua economia dipendono fortemente dai sussidi provenienti dalla Russia, che mantiene una presenza militare e la sua missione di peacekeeping. La competizione politica all’interno del territorio è limitata e il partito dominante è allineato con i potenti interessi commerciali locali.

Uno dei quesiti odierni riguarda la possibilità di risolvere politicamente il problema della Transnistria, considerate tutte le contraddizioni esistenti nella politica regionale e globale. Dal 2009 le condizioni politiche in Moldova sono cambiate significativamente verso strutture di governo più democratiche, responsabili ed europeiste. 

Nel maggio 2018 si è tenuta a Roma la Conferenza permanente per la regolamentazione del conflitto transnistriano. Il forum è stato svolto nel formato 5+2 (Moldova, Transnistria, Russia, Ucraina, Osce + UE e USA). Sul tavolo, un pacchetto di otto punti per la risoluzione dei problemi dei cittadini di entrambe le parti, concernenti principalmente questioni economiche, umanitarie e di circolazione.

I primi segnali di un “ricongiungimento territoriale” provengono dal graduale allentamento delle posizioni russe in Transnistria. Nel 2018 il presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin, ha licenziato il rappresentante presidenziale per la Transnistria, sostituendolo con un rappresentante per lo sviluppo del commercio e dell’economia con la Moldova. In altre parole, le relazioni della Russia con la Transnistria sono ora parte integrante delle relazioni con la Moldavia.

Un altro segnale di riavvicinamento si è visto nel cambio dell’approccio occidentale caratterizzato dall’insediamento di un diplomatico tedesco a capo della missione dell’OSCE in questo territorio. In particolare, i diplomatici tedeschi hanno fatto il possibile per sostenere misure di rafforzamento della fiducia tra Tiraspol (Transnistria) e Chisinau (Moldavia). La presidenza tedesca dell’OSCE del 2016 ha gettato le basi per un programma di consolidamento della fiducia reciproca attraverso la firma del cosiddetto Protocollo di Berlino.

Ma soprattutto sono le precondizioni strutturali che ad oggi fanno discutere della possibilità dell’avvicinamento tra Chisinau e Tiraspol. Ciò è dovuto alla graduale estensione della giurisdizione moldava sui confini territoriali, la pressione economica e il lento e costante avvicinamento della Moldavia all’Occidente.

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