
Lo sviluppo è verso l’internazionalismo, ma il punto di partenza è nazionale ed è da questo punto di partenza che occorre prender le mosse. (Antonio Gramsci)
Da decenni soprattutto a sinistra si è consolidata una retorica anti-patriottica, che non manca mai di far emergere tutte le contraddizioni che sono proprie delle posizioni politiche prodotte da adattamenti soggettivi alla realtà, o che opportunisticamente piegano le proprie azioni in maniera tale da non doversi mai confrontare con la vera risoluzione dei problemi.
È chiaro e logico, capire che nella strada verso un futuro di giustizia sociale e libertà, verso la costruzione di una società socialista, la questione nazionale assume un ruolo fondamentale.
Negli anni abbiamo regalato la bandiera del patriottismo a chi 75 anni fa voleva farci diventare una provincia del Reich e a chi oggi vuole il nostro paese sempre più subordinato a Washington e Berlino o meglio Bruxelles. Bisogna capire che quella in cui viviamo è tuttora una società ingiusta che non somiglia per nulla alle nostre aspirazioni.
La Resistenza è stata tradita.
Non è stato dato alla Resistenza un carattere di rinnovamento e progresso sociale, rendendola di fatto un momento di celebrazione fine a sé stessa. Oggi è importante cantare Bella Ciao e ricordare, ma è ancora più importante capire cosa dobbiamo fare per il nostro futuro, guardiamo al domani ma agendo nel presente, iniziando nel riconoscere i veri nemici attuali.
Noi, oggi, dobbiamo stare nei quartieri e nei luoghi di lavoro, tra e con il popolo italiano per contendere alle destre l’egemonia nei confronti della percezione di quale sia la strada corretta da seguire per risolvere i problemi che ci affliggono.
O la guerra tra poveri voluta per mantenere gli interessi e le ricchezze di pochi o la liberazione collettiva.
Questo è per noi l’antifascismo vero, l’unico che conta.
Noi vogliamo e dobbiamo costruire un grande blocco sociale tra i gli operai, i lavoratori e il ceto medio che si proletarizza per una vera Liberazione, contro la globalizzazione capitalista, contro l’Unione Europea, contro la NATO.
Per questo dobbiamo ri-alzare in alto la bandiera del patriottismo tessendo quel filo rosso che inizia nel Risorgimento e continua durante la Resistenza e nelle lotte popolari e operaie del dopo-guerra. Bisogna riprendere in mano tutto ciò e lottare uniti per un’Italia, libera, indipendente e socialista.

Un comunista che sottovaluti il quadro internazionale della sua lotta e dimentichi i suoi doveri di solidarietà con gli altri popoli, cade in un ristretto nazionalismo e si condanna all’isolamento e alla sconfitta. Un comunista che non ritenga che il suo primo dovere internazionalista è la lotta nel proprio paese, perde il legame con le masse e cade nell’agitazione parolaia inconseguente.
Difendere la sovranità nazionale non è un tema di destra, nonostante ampia parte della sinistra liberal europea lo pensi. Al contrario affrontare le ingerenze dell’imperialismo, siano esse dell’Unione Europea, della NATO, del FMI o di qualsiasi altra istanza sovranazionale, è un dovere fondamentale: rappresentando un compito patriottico irrinunciabile, la difesa della sovranità nazionale è anche il migliore contributo alla lotta antimperialista e alla causa universale della liberazione dei lavoratori e dei popoli.
Assai spesso, i nemici dei lavoratori tentano di contestare il patriottismo dei comunisti, invocando il loro internazionalismo e presentandolo come una manifestazione di cosmopolitismo, di indifferenza e di disprezzo per la patria. Anche questa è una calunnia. Il comunismo non ha nulla di comune col cosmopolitismo.
Lottando sotto la bandiera solidarietà internazionale dei lavoratori, i comunisti di ogni singolo paese, nella loro qualità di avanguardia delle masse lavoratrici, stanno solidamente sul terreno nazionale. Il comunismo non contrappone, ma accorda e unisce il patriottismo e l’internazionalismo proletario poiché l’uno e l’altro si fondano sul rispetto dei diritti, delle libertà, dell’indipendenza dei singoli popoli.
E’ ridicolo pensare che la classe operaia possa staccarsi, scindersi dalla nazione. La classe operaia moderna è il nerbo delle nazioni, non solo per il suo numero, ma per la sua funzione economica e politica.
L’avvenire della nazione riposa innanzi tutto sulle spalle delle classi operaie. I comunisti, che sono il partito della classe operaia, non possono dunque staccarsi dalla loro nazione se non vogliono troncare le loro radici vitali.
Il cosmopolitismo è una ideologia del tutto estranea alla classe operaia. Esso è invece l’ideologia caratteristica degli uomini della banca internazionale, dei cartelli e dei trust internazionali, dei grandi speculatori di borsa e dei fabbricanti di armi. Costoro sono i patrioti del loro portafoglio. Essi non soltanto vendono, ma si vendono volentieri al migliore offerente tra gli imperialisti stranieri.
“Le accuse di nazionalismo sono inette se si riferiscono al nucleo della questioni. Se si studia lo sforzo dal 1902 al 1917 da parte dei maggioritari si vede che la sua originalità consiste nel depurare l’internazionalismo di ogni elemento vago e puramente ideologico (in senso deteriore) per dargli un contenuto di politica realistica.
Il concetto di egemonia è quello in cui si annodano le esigenze di carattere nazionale e si capisce come certe tendenze di tale concetto non parlino o solo lo sfiorino. Una classe di carattere internazionale in quanto guida strati sociali strettamente nazionali (intellettuali) e anzi spesso meno ancora che nazionali, particolaristi e municipalisti (i contadini), deve «nazionalizzarsi», in un certo senso.
Che i concetti non nazionali (cioè non riferibili a ogni singolo paese) siano sbagliati si vede per assurdo: essi hanno portato alla passività e all’inerzia in due fasi ben distinte:
1. Nella prima fase, nessuno credeva di dover incominciare, cioè riteneva che incominciando si sarebbe trovato isolato; nell’attesa che tutti insieme si muovessero, nessuno intanto si muoveva e organizzava il movimento
2. La seconda fase è forse peggiore, perché si aspetta una forma di «napoleonismo» anacronistico e anti naturale (poiché non tutte le fasi storiche si ripetono nella stessa forma).
Le debolezze teoriche di questa forma moderna del vecchio meccanicismo sono mascherate dalla teoria generale della rivoluzione permanente che non è altro che una previsione generica presentata come dogma e che si distrugge da sé, per il fatto che non si manifesta effettualmente.” Antonio Gramsci
Fonti
Palmiro Togliatti (Rinascita – Rassegna di politica e di cultura Italiana – Anno II – N. 7-8)
Antonio Gramsci (Quaderni del carcere, edizioni Einaudi, Torino, 1975, p.1729-1730)
Comunismo e Patriottismo
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