

Emblema della falce e martello utilizzato nella repubblica socialista proclamata nel 1921 dai minatori istriani croati ad Albona
Nella zona di Labin/Albona, in Istria, le miniere di carbon fossile sono state famose nei secoli; sfruttate forse già dalla Serenissima, diventate italiane dopo la lunga appartenenza austriaca. È il bacino dell’Arsia, torrente ricco d’acqua che scende dal Monte Maggiore e arriva all’Adriatico con un estuario paludoso: siamo lassù, nella punta di nord-est dell’Istria. La fascia mineraria corre lungo il mare, arrampicata a mezza costa e i pozzi sono stati aperti a decine vicino alle frazioni o a piccoli nuclei abitati: Càrpano, Podlabin, Vine.
Gli operai di quel grande bacino minerario non sono nuovi alle lotte: nel 1867 hanno fondato la «Società di Mutuo Soccorso» perché le agitazioni si susseguono, le condizioni di lavoro sono dure e i salari bassi. I minatori aderiscono esplicitamente al socialismo internazionalista: sono operai croati, tedeschi, slovacchi, italiani, arrivano ogni giorno a migliaia da tutta l’Istria.
La Prima Guerra Mondiale è una sorta di incubo: il regime in miniera si fa durissimo, le punizioni «esemplari», la riottosità antimilitarista viene castigata con invii mirati sul fronte rumeno. Dopo la fine della prima guerra mondiale , all’Italia furono assegnate le regioni dell’Istria e parti della Dalmazia. Ma con l’arrivo dell’Italia le condizioni non migliorano: l’Italia ha bisogno di carbone e i turni diventano di undici ore, il salario da fame, il ritmo di estrazione frenetico, le misure di sicurezza inesistenti. È bastato il cambio di calendario, tra l’austriaco e l’italiano, per dimezzare le festività riconosciute. Già alla fine del 1918 si torna a scioperare, si apre una sezione del Partito Socialista, sui bollini sindacali si stampa la falce e martello. Gli operai appartenenti alla distrutta Austria-Ungheria se ne vanno e vengono ampiamente rimpiazzati da «regnicoli» friulani, veneti, siciliani ma il clima non cambia, le idee della rivoluzione bolscevica hanno ormai raggiunto tutte le latitudini.
In Italia si era in pieno Biennio Rosso e gli echi delle occupazioni delle fabbriche arrivano anche in Istria, ispirando anche i numerosi scioperi tra la fine del 1920 e l’inizio del ’21 contro delle condizioni di lavoro sempre più pesanti nelle miniere dell’Arsa.
Il 20 gennaio 1921, al Teatro Goldoni di Livorno, volge alla fine il XVII Congresso del Partito socialista italiano con una votazione attraverso Ia quale i delegati della III Internazionale denunciano il « tradimento » dei massimalisti.
I comunisti ottengono 58.783 voti. Il 21 gennaio i comunisti abbandonano la sala del Congresso e si portano al
Teatro San Marco al canto dell’Internazionale. All’ingresso, i giovani compagni della « guardia rossa », che si distinguono appunto per una fascia rossa al braccio, appongono il timbro della frazione comunista sulla tessera del Psi. Ha così inizio il Congresso costitutivo del Partito comunista d’Italia.
Soltanto dodici giorni dopo la nascita del Partito comunista d’Italia, e precisamente il 2 febbraio 1921, comincia in Istria un’agitazione operaia che si trasformerà in sciopero politico il 2 marzo, sfociando nell’occupazione delle miniere della Società Arsa e quindi nell’autogestione operaia del bacino carbonifero: la cosiddetta Repubblica
di Albona.
La Repubblica, che viene ricordata con più nomi, la Repubblica Rossa, San Marino comunista, Comune parigina istriana, riveste particolare importanza soprattutto per la storia del Partito Comunista d’Italia, « dato che si tratta anche dell’unico caso di una Comune operaia con relativa consistenza territoriale costituitasi ed operante (sia pure per il breve tempo di un mese) in quella che era l’Italia del 1921.
Sono, però, anche gli anni della crescita dello squadrismo fascista e l’Istria non fa eccezione: anche qui gli squadristi si macchiano di violenze ai danni di contadini, operai e degli stessi minatori. Il 1° marzo 1921 Giovanni Pipan viene intercettato da un gruppo di fascisti alla stazione ferroviaria di Pisino, nel cuore dell’Istria, e viene pestato a sangue. La notizia arriva il giorno dopo ad Albona: è l’ultima goccia di una situazione insostenibile e il 3 marzo i minatori si riuniscono in assemblea e decidono di occupare gli impianti. Grazie anche all’arrivo dei contadini dalle campagne circostanti, si organizzano delle “guardie rosse”, una forza di sicurezza che ha il compito di mantenere l’ordine.
Il 7 marzo viene ufficialmente promulgata la nascita della Repubblica di Albona: l’organo decisionale è il Comitato centrale, mentre l’assemblea il luogo di discussione. È in questi organi che si decide di continuare la produzione e il carbone riprende ad essere estratto. Si tratta di un sistema basato sull’autogestione e fondato sui principi di lotta di classe e di rifiuto della violenza fascista; soprattutto, quello dei minatori è un movimento multinazionale, dove non esiste distinzione etnica. Kova je naša (La miniera è nostra) è il grido di battaglia dei lavoratori!
I minatori occuparono quindi le miniere e gli impianti minerari, minarono i passaggi verso i pozzi di Càrpano, Vines, Štrmac e Stallie con il deposito di carbone, e organizzarono schieramenti armati sotto il nome di guardie rosse, comandate da Francesco da Gioz. Il comitato minerario, con a capo Pipano, risolveva questioni sociali e politiche, ed il sostegno gli veniva dato dal nobile Giovanni Tonetti (il barone rosso). All’amministrazione dei minatori furono fatte richieste di tipo economico (l’aumento del salario e altro). Siccome i trattative si protesero nel tempo, i minatori decisero il 21 marzo di organizzare da soli la produzione. Scesero nei pozzi ed elessero un capo, il tecnico minerario Dagoberto Marchiga. Contemporaneamente, pur temendo i crumiri, catturarono e colsero in flagrante 13 minatori siciliani favorevoli all’amministrazione

La Repubblica di Albona, però, ha i giorni contati. Passato un mese dalla proclamazione e fallito ogni tentativo di trattativa, la Società Arsia chiede l’intervento dell’esercito. Il 7 aprile mille soldati circondano la miniera e, al rifiuto della resa, entrano in azione. I minatori si ritirarono vicino a Štrmac, dove opposero resistenza armata. Comunque, scarsamente armati ed inesperti, dovettero presto cedere. Pipano ordinò di cessare il fuoco e si prese tutta la responsabilità. Ne conseguì una vendetta, durante la quale vennero catturati quaranta ribelli. I minatori Massimiliano Ortar e Adalbert Sykora morirono. I minatori catturati vennero rinchiusi nelle prigioni di Pola e Rovigno, e il processo si tenne a Pola dal 16 novembre fino al 3 dicembre. L’accusa imputava 52 minatori per l’occupazione della miniera, l’instaurazione del regime sovietico, l’opposizione alle autorità, la minazione dei magazzini, la detenzione di esplosivo ed una serie di azioni illegali. Gli avvocati Edmondo Puecher, Guido Zennaro ed Egidio Cerlenizza difesero con successo gli accusati, e la Corte d’assise portò il verdetto liberatorio.

L’Istria, per quanto oggi possa sembrare un luogo spopolato che tira avanti solo grazie agli airbnb e agli apartmani, ai turisti tedeschi e alle casse di vino bianco, in passato è stata un centro industriale che arrivò ad ospitare fino a diecimila operai provenienti da tutto il Regno; pure De Gasperi, quando, nel dopoguerra, chinò il capo dinanzi alle pretese slave sull’Istria, sussurrò, implorò: «almeno lasciateci le miniere dell’Arsa…».
I trentacinque giorni della Repubblica di Labin
LA REPUBBLICA DI ALBONA e il movimento dell’ occupazione delle fabbriche in Italia