
Oggi Giuseppe Stalin compie settant’anni. Quest’avvenimento non riguarda esclusivamente l’Urss, bensì pure le masse lavoratrici di tutti i Paesi perché Giuseppe Stalin – rivoluzionario indomito, da cinquant’anni al suo posto di lotta, senza mai deflettere – si è battuto e si batte per il suo popolo e per l’umanità intera.
Riguardando in prospettiva tutta questa vita spesa per un’idea, appare subito evidente coma Giuseppe Stalin abbia sempre avuto chiara dinanzi alla sua mente la visione della meta cui voleva tendere. A questa meta egli ha decisamente puntato fin dal primo istante della sua lotta, duro con se stesso e con gli altri, implacabile contro chiunque – nemico o compagno – tentasse di farlo deviare o di trattenerlo, sicuro che giusta era la strada presa: la strada indicata da Lenin.
Compiuta la Rivoluzione d’Ottobre, ha costruito il Socialismo nella sua patria e lo ha quindi irradiato nelle patrie altrui, sia nel cuore dell’Europa, sin nell’Estremo Oriente, nell’immensa Cina.
Tutti questi popoli che hanno conquistato la meta suprema e tutti gli altri che stanno per conquistarla guardano all’Urss come alla loro seconda patria e come alla roccaforte del Socialismo, contro cui già una volta si è spezzata la rabbiosa prepotenza reazionaria e contro cui si spezzerebbe ogni nuovo assalto alle forze imperialistiche. E guardano a Giuseppe Stalin come una guida del mondo del lavoro.
Quest’uomo – capo non solo di un forte Stato, ma di tutto un popolo – seppe in un’ora tragica per la propria patria trasfondere nelle genti sovietiche la sua stessa volontà di lotta, il suo stesso incrollabile coraggio. E dietro lui tutto un popolo si mosse. Fu prima la resistenza tenace, poi la travolgente insurrezione, quindi la splendida vittoria.
I proletari del mondo intero – i quali trepidanti avevano trattenuto il respiro durante le tragiche ore di Stalingrado perché sentivano come la loro sorte fosse legata alla sorte stessa dell’Urss – esultarono. La vittoria dell’Unione Sovietica era anche la loro vittoria.
E oggi quest’uomo dall’animo temprato e forte come il suo nome, dal corpo ancora vigoroso, è alla testa non più del solo suo popolo, ma di tutti i popoli lavoratori che vogliono difendere ad ogni costo la pace e che protesi sono verso il proprio riscatto.
Per questo da ogni parte del mondo dove vi sono lavoratori ancora oppressi ed impegnati in aspre lotte contro la reazione, o dove lavoratori ormai liberi sono intenti a costruire la società socialista, si leva il saluto augurale verso Giuseppe Stalin.
In “Lavoro nuovo”, 21 dicembre 194