Siamo nel 1959, sei anni dopo la morte di Stalin e l’inizio della destalinizzazione avviata, mentendo, da Kruscev , il presidente degli Stati Uniti è Dwight Eisenhower, il quale ha un piano ben preciso per esportare la cultura americana, quindi la cultura capitalista, anche nel territorio sovietico – che però non sembra particolarmente entusiasta ed interessato. Viene dunque organizzata l’Esposizione nazionale americana, a Mosca, dove era presenta anche Richard Nixon, il vice presidente statunitense in quegli anni. Tra Nixon e Krusciov, leader dello stato sovietico, scoppia presto una brutta lite. Per riportare la pace tra le parti, il vice presidente della Pepsi offre al capo russo un bicchiere della sua bevanda gasata e quest’ultimo, sorprendentemente, accetta.

Donald Kendall, vice presidente del marketing della Pepsi, offre a Nikita Khrushchev un bicchiere di Pepsi. Al centro, Richard Nixon, all’epoca vice presidente Usa.

Questo bicchiere fece sbocciare l’amore dell’Unione Sovietica per la Pepsi e in seguito avrebbe posto le basi per un bizzarro rapporto d’affari.

Kendall, vice presidente del marketing della Pepsi,, faceva parte di progetto che aveva lo scopo di mostrare lo stile di vita americano allo scopo di allentare le tensioni tra i due paesi.
I sovietici avevano fatto lo stesso, portando un mese prima a New York, una mostra del lifestyle sovietico. All’evento di Mosca, gli americani presentarono auto, lavastoviglie, televisori e, presso lo stand di Kendall, la Pepsi.

Kendall, che era un amico di Nixon, disse al New York Times: «Sono andato da Nixon all’ambasciata, e gli ho detto che ero nei guai perché la la Pepsi pensava che stavo sprecando i soldi dell’Azienda per seguire un progetto irrealizzabile.» Kendall sapeva che «doveva piazzare una Pepsi in mano a Kruscev». Nixon organizzo quindi l’incontro tra i due.

Tredici anni più tardi, nel 1972, Donald Kendall (presidente della Pepsi dal ’63), continuava a porsi la solita irrisolta questione: come si poteva introdurre questa bibita nel mercato sovietico? Decise allora di sfruttare i contatti che aveva con Nixon, nel frattempo diventato Presidente, per cercare di ottenere un accordo commerciale dai risvolti rivoluzionari.

Ma quando finalmente si riuscì ad arrivare a un accordo, al quale mancava solo la firma, venne sollevata una questione tutt’altro che secondaria: come avrebbe potuto l’Urss pagare i rifornimenti di Pepsi? L’Unione Sovietica non aveva infatti accesso alla moneta straniera e il rublo non poteva essere cambiato nel mercato internazionale. La soluzione, allora, era ripagare con della vodka! Visto che la maggior parte delle bibite era di proprietà statale, il governo sovietico all’epoca possedeva grandi quantità di vodka. Fu così che si decise di pagare con Stolichnaya, una famosa marca di vodka creata all’inizio del Novecento dal chimico russo Dmitrij Mendeleev, inventore della tavola periodica degli elementi.

Si trattò ovviamente di un accordo che segnò la storia e che rese la Pepsi il primo prodotto occidentale a essere venduto in Unione Sovietica. Inoltre la Pepsi si trasformò nell’importatore esclusivo della famosa vodka Stolichnaya destinata all’avido mercato statunitense.

Quando nel 1989 l’iniziale accordo tra la Pepsi e l’Unione Sovietica fu sul punto di scadere, si fece di tutto per arrivare a un secondo accordo. In quel periodo la Pepsi in Unione Sovietica vantava già più di venti stabilimenti dove la bibita veniva imbottigliata prima di essere distribuita. Il nuovo accordo commerciale aveva un costo di quasi tre milioni di dollari: un prezzo che la Stolichnaya da sola non era in grado di sostenere. E ancora una volta, di fronte a una moneta difficile da cambiare sui mercati internazionali, si riuscì a trovare una soluzione: se negli anni Settanta l’Unione Sovietica possedeva un’infinità di litri di vodka, negli anni Ottanta vantava un grosso armamento militare ereditato dalla Guerra fredda. L’Urss propose quindi di pagare la Pepsi con una flotta di navi diesel. Per quanto l’offerta potesse sembrare strana, i dirigenti della Pepsi accettarono, ben consapevoli che non ci sarebbe stata alternativa alcuna.

L’accordo comprendeva 17 sottomarini, un incrociatore, una fregata e un cacciatorpediniere, che vennero poi venduti a una compagnia svedese specializzata nel riciclaggio di rottami. Questi 17 sottomarini fecero in modo che la Pepsi, nei giorni della contrattazione, si trasformasse nella sesta potenza militare più grande del mondo per numero di sottomarini diesel posseduti.

Si narra che un giorno il presidente della Pepsi Donald Kendall, scherzando con il consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, gli avesse detto: “Stiamo disarmando l’Unione Sovietica in tempi molto più rapidi di come hai fatto tu”.

L’UNIONE SOVIETICA BARATTÒ PEPSI CON VODKA E NAVI DA GUERRA

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