
Odessa, la città dalle mille sfumature, consegnata alla storia cinematografica mondiale grazie a Sergej Michajlovič Ėjzenštejn , alla sua scalinata. La scalinata nota al cinema nostrano per la “cagata pazzesca” di fantozziana memoria. Ebbene, i legami tra la città del Mar Nero e l’Italia non si riducono alla sola esternazione del ragioniere nostrano. Odessa è stata fondata da un italiano, nel 1794.
Prima di tale data al posto di Odessa sorgeva un villaggio, Khadjibey, abitato dai tatari. Tra il XVII e il XVIII le coste del Mar Nero si ritrovarono contese tra le mire espansionistiche dell’Impero Ottomano(la cui presenza era debole e incostante lungo le coste settentrionali)e della Russia di Pietro il Grande(che bramava lo sbocco sul mare per il suo impero). Entrambe inconcludenti e senza successo, fu la nuova zarina, Caterina la Grande, a cambiare le sorti dell’alterco russo-ottomano. Tra audacia strategica e meticolosa diplomazia respinse l’armata ottomana e si assicurò territori ampi, facendo della Russia una potenza emergente sul Mar nero. Il XVIII fu il secolo dell’ingordigia imperiale in Europa e la zarina non volle esser da meno, annettendo formalmente la Crimea e sognando una nuova Bisanzio sotto la protezione russa. Supportata dal valoroso militare e suo amante Grigorij Aleksandrovič Potëmkin, un insieme di erotismo, autentico affetto e caparbietà militare portarono a un ampliamento dell’impero lungo le coste meridionali, nel decennio tra il 1770 e il 1780. Le regioni che caddero sotto i colpi dell’esercito di Caterina la Grande furono riunite in una nuova unità amministrativa nota come Novorossija o Nuova Russia. Nonostante tenacia e bramosia imperiale, i territori annessi erano ben lontani dallo sfarzo degli altri imperi, Potëmkin non riuscì a far funzionare i villaggi, tra lo scontento, il tifo dilagante tra i contadini e le infrastrutture inesistenti. Fu così che la delegazione russa tornò a San Pietroburgo, lasciano la steppa esattamente com’era prima. Gli Ottomani ripresero l’avanzata presentando un ultimatum alla zarina, in cui esigevano la restituzione della Crimea e altri territori.
Al rifiuto, gli Ottomani dichiararono guerra. Caterina poté avvalersi di valorosi guerrieri, nobili e abbienti, o mercenari di basso lignaggio, attratti dalle ricchezze che il Mar Nero poteva offrire.
Ne fu attratto il celebre mercenario John Paul Jones, ero navale della rivoluzione americana, le cui gesta sono passate all’ombra della capacità di giudizio, dell’astuzia di un suo luogotenente Giuseppe de Ribas, napoletano passato alla storia come il vero fondatore di Odessa. La zarina aveva così lo sbocco sul mare e l’italiano entrò nelle sue grazie. Il villaggio di Khadjibey si apprestava a diventare un importante centro navale, commerciale e culturale. De Ribas si impegnò a costruire da zero la sua città, non dimenticando la sua Napoli e l’Italia. Non lo fece da solo, fu supportato da diversi connazionali. Allora quando migliaia di contadini europei si imbarcavano per il Nord America in cerca di prosperità, l’intellighenzia italiana lasciava Genova, Livorno, Napoli, Venezia, Palermo, Torino e Milano per l’incontaminata Nuova Russia, fenomeno il cui foriero fu stato il bolognese Aristotile Fioravanti.
Si insediarono, progettarono e modellarono la città, importando la cultura italiana e incrementando l’attività di quella che poi sarebbe diventata la maggiore città portuale del sud della Russia, incentivando il commercio. Tutto ciò avvenne su invito dell’imperatrice Caterina, desiderosa di una Russia spoglia dei suoi abiti contadini e indossante nuove e vitali vesti occidentali. Ergo, il governo russo stanziò fondi per costruire la città di Odessa sotto la guida economica, architettonica e artistica del popolo italiano, per realizzare il progetto di una città ideale, la cui vita doveva ruotare intorno al teatro, al piacere, alla creazione di arte e cultura.
De Ribas e l’équipe italiana lavorarono sodo e nell’arco di un triennio l’Ausonia del Mar Nero splendeva come porto commerciale e come porto culturale, ponendo fine a quell’isolazionismo russo tanto avversato dalla zarina. Odessa presentava così un mélange di equilibrio, proporzioni, simmetria, monumentalità e rigorismo tipico del Rinascimento. Artisti e architetti italiani consideravano la Nuova Russia come luogo dove poter dar libero sfogo al proprio estro artistico, lontano dall’occhio sprezzante, inquisitorio della Chiesa; l’artista poteva liberare senza remora alcuna istinto e immaginazione. Le corti russe e l’amministrazione cittadina di Odessa garantivano la libertà artistica attraverso una solida sicurezza finanziaria, creando un fenomeno singolare nella storia culturale e urbanistica europea. Un vero e proprio ponte fluttuante tra Italia e Russia, Napoli, Venezia, San Pietroburgo e Mosca. Fra i nomi degli architetti più importanti ricordiamo i napoletani Francesco Boffo e Francesco Frapolli, veri protagonisti della trasformazione di Odessa in un vero museo a cielo aperto dell’architettura neoclassica e neorinascimentale, tanto da poter rivaleggiare con San Pietroburgo nel nord dell’Impero russo.
Ben presto, ad Odessa si costituì una colonia italiana, che nel 1850 contava circa tremila di abitanti, quasi tutti di origine meridionale. Rilevante fu il contributo che questa comunità diede alla fondazione, allo sviluppo e all’economia dell’impero russo. L’italiano rimase lingua ufficiale dell’attività economica della città. Cartelli stradali, passaporti, liste dei prezzi erano scritti in italiano, e la comunità italiana diede un grande contributo alla cultura della città alle porte del Mar Nero, soprattutto nell’ambito dell’architettura. Il napoletano Francesco Frapolli fu nominato architetto ufficiale della città da Richelieu, nel 1804 e fu lui a progettare la monumentale Opera di Odessa e la famosa Chiesa della Trinità.
Francesco Boffo, “architetto cittadino” per venti anni si è consegnato alla storia per l’elegante Primorskij Boulevard, un insieme di equilibrio, proporzioni, simmetria, monumentalità e ordine rigoroso del Rinascimento italiano, peculiarità visibili anche nella struttura dell’edificio del Comune della città, nella facciata del Museo Archeologico. Ma è la Scalinata Potëmkin la sua opera celeberrima, costruita tra il 1837 e il 1841, originariamente composta da 200 scalini, con diversi effetti ottici, tali da farla sembrare più lunga e più larga. In cima alla scalinata troviamo la statua bronzea del Duca di Richelieu, governatore di Odessa dal 1803 al 1814. Francesco Frapolli si occupò del Teatro dell’Opera e la Chiesa Troickaâ. La facciata del teatro richiama la struttura architettonica del Teatro di Mantova e del Teatro Felice di Genova, le sue monumentali colonne rievocano il Pantheon greco. E’ importante specificare che nel XVIII e XIX il teatro diviene il protagonista principale tra le strutture architettoniche e centro propulsore della vita artistica e culturale. Appannaggio della casata reale e dell’ aristocrazia in passato, in quei secoli diviene pubblico, affermandosi come luogo di aggregazione, socializzazione, stimolo artistico. I grandi attori italiani Tommaso Salvini, Ernesto Rossi e Eleonora Duse contribuirono alla formazione dell’Opera di Odessa, facendo della città la più europea e mediterranea dell’impero russo. Altre figure del panorama artistico odessita furono i pittori che dettero forma e colore al sentimento della nostalgia, non dimenticando la tradizione rinascimentale.

Mantenevano sempre vivo il ricordo della propria città nativa, trasportando su tela quell’unione di creatività euforica e nostalgia. Provenendo da città marittime, il soggetto rappresentato in cui confluivano i sentimenti sopraccitati era proprio il mare, ravvivato dai raggi del sole. E proprio a Odessa, nel 1898, il musicista Edoardo di Capua e il poeta Giovanni Capurro composero la canzone atemporale ‘O Sole mio. Famosa in tutto il mondo, è stata incisa da artisti da ogni dove in tutte le lingue e interpretata magistralmente da cantanti di fama internazionale, è un inno alla città di origine degli autori, Napoli, le sfumature dei suoi colori, il suo tepore dovute alla costante presenza del sole. Quell’aggettivo possessivo “mio” rimanda immediatamente al senso d’appartenenza, al legame, al contatto intimo che si può avere e stabilire con qualcosa o con qualcuno. E’ quella simbiosi indissolubile con la propria Napoli, il cui ricordo valica i confini.
“Nel XX secolo la presenza italiana comincia a diminuire, fino a scomparire, non solo in qualità di residenti odessiti, bensì dalla storia, dagli archivi, dalla memoria. Oggi l’ odessita medio non sa delle origini della propria città. Perché questo bianchetto sull’inchiostro delle pagine di storia? E’ molto difficile rispondere, proprio perché il passato odessita non è uno dei capitoli più chiari e limpidi della narrazione(tralasciando poi il discorso sugli eventi degli ultimi anni)” Condivido il pensiero della storica Anna Malkokin, che vede nello sciovinismo uno dei colpevoli. “Le forze nazionaliste, nella seconda metà dell’ottocento e del novecento poi, hanno avuto difficoltà nel riconoscere l’indiscutibile contributo e merito dell’Altro nel grande passo in avanti compiuto dalla società russa del XVIII, arrivando a manomettere gli archivi, durante l’epoca zarista e quella sovietica, rimuovendo lo straniero dalla propria storia”. Francesco Boffo è forse l’unico architetto “sopravvissuto” a questa manomissione, grazie a Sergej Eisenštein, regista del famoso film “La corazzata Potëmkin“. E’ una tesi riguardo uno studio in fieri, di una realtà al giorno d’oggi molto complessa. E’ certo che il nazionalismo, nella sua accezione sciovinista, intende abbattere quei ponti che sono alla base della crescita e della produzione culturale dell’uomo e, senza viadotti, non c’è spazio per suggestioni e fluttuazioni.