«SPARA VIGLIACCO, che stai per uccidere un uomo».

Un uomo, non un mito. Secondo molti storici, questa fu l’ultima frase di Ernesto Guevara, detto Che, prima che il sottufficiale dell’Esercito Boliviano, Mario Terán, gli sparasse il primo colpo di M2. Il primo dei tre colpi con cui finì la vita del rivoluzionario argentino prestatosi alla causa della Rivoluzione Cubana. Era il primo pomeriggio di domenica 9 ottobre 1967. Dopo quasi 40 anni da quel giorno, l’immagine del Che continua ad essere ovunque. Anche le foto del suo cadavere, o quelle scattate dalla Cia poco prima che venisse ucciso. Da qualche giorno, uscite in Colombia e pubblicate dal quotidiano argentino El Clarin, vedono la luce altre 6 foto, sparite in quel giorno dell’ottobre del ’67 come tante altre verità legate alla fine di Guevara. Ad avere in consegna queste foto era Federico Arana Serrudo, 39 anni fa a capo del Servizio Segreto Militare Boliviano (il G2). Con la loro pubblicazione, finisce uno dei misteri della morte del Che. Mentre per il mito, quello nato ben prima del colpo di M2 sparato da Terán, queste ultime immagini aggiungono altro alone a quello già esistente.

Le foto riprendono il Che poco prima e poco dopo l’esecuzione al villaggio andino de La Higuera. Come in quelle già pubblicate anni fa, prima di essere ucciso, Guevara non guarda mai l’obiettivo della macchina di Niño de Guzmán, l’elicotterista che porterà il corpo del guerrigliero all’ospedale di Malta, nella cittadina di Vallegrande. «Stai per uccidere un uomo», avrebbe detto il Che. Dalle foto emerse in questi giorni, ce n’è una -forse la più impressionante- dove il comandante Ernesto Guevara è ritratto già morto. Un’immagine che, insieme a quella scattata a Vallegrande (quella che ricorda il Cristo del Mantegna), ci riporta il cadavere del Che come fosse un trofeo e, allo stesso tempo, una minaccia per i militari boliviani. Anche da morto. Nella foto sul Clarin, gli occhi vitrei del Che fissano l’obiettivo. Solo da morto sono riusciti a metterlo «in posa». Come solo con il dolore, Korda riuscì a immortalarlo su un palco de L’Avana dopo un attentato. E poi, quella foto, ha fatto il giro delle magliette e delle bandiere di mezzo mondo.

Tra le nuove immagini, c’è anche quella del suo corpo appoggiato su una barella attaccata all’elicottero di Guzmán. E poi quella del suo cadavere, disteso in una pozza di sangue. Alle sue spalle ci sono due soldati: forse lo stesso Terán insieme a uno degli altri soldati boliviani che gli spararono. Il tutto ripreso mentre nella scuola de La Higuera si aggirava il capitano dell’Esercito Boliviano Félix Ramos che, in realtà, altri non era se non un agente della Cia. Félix Rodríguez, colui che accompagnò il corpo del Che sull’elicottero. Ma la pubblicazione delle ultime immagini, a 39 anni dalla morte del guerrigliero nato a Rosario, ha riaperto la polemica.

Chi le ha nascoste in tutti questi anni? E perché? L’autore di queste nuove testimonianze sarebbe l’elicotterista Niño de Guzmán che, incaricato dall’agente della Cia di scattare foto, si era ritrovato tra le mani una Pentax manomessa. Le uniche foto dovevano essere quelle scattate per conto di Washington. Ma Guzmán aveva con sé un’altra macchina: quella che ha scattato le foto pubblicate in questi giorni. Adesso rimane da capire dove fossero finite in tutti questi anni. Ancora a La Higuera, quando l’agente Félix Rodríguez, alias Ramos, seppe delle foto si fece consegnare il rullino che finì nella mani del generale Ovando, Comandante in capo dell’Esercito Boliviano. Poi, quel rullino arrivò nell’ufficio di Arana Serrudo a La Paz. E infine, silenzio. Fino a oggi.

Tratto da L’Unità

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