Fu l’Unione Sovietica il primo paese del mondo a mettere in pratica e a sviluppare come nessun altro i diritti sociali fondamentali come l’uguaglianza dei diritti delle donne e degli uomini nella famiglia nella vita e nel lavoro, i diritti e la protezione della maternità.  La Rivoluzione d’Ottobre dette un impulso straordinario al conseguimento dei diritti delle donne raggiungendo nel giro di pochi giorni i diritti che nel nostro paese abbiamo messo decenni a raggiungere, ed è servita di esempio e di incoraggiamento per la lotta delle donne in tutto il mondo. Il processo di costruzione del socialismo in URSS ha sempre mantenuto al centro delle sue preoccupazioni l’emancipazione femminile. La scomparsa dell’URSS ha portato a battute d’arresto brutali nelle condizioni di vita delle donne, non solo negli ex territori sovietici, ma a livello internazionale.


Il contesto

La realtà russa nell’ottobre del 1917 era molto complessa. Da un lato, l’arretratezza secolare del paese, l’incubo della guerra, le enormi disparità sul piano economico, sociale e culturale delle varie repubbliche che costituirono l’Unione Sovietica. In alcune regioni c’erano rapporti semi-feudali, e il ruolo delle donne era di subordinazione, in particolare nelle regioni dell’Asia centrale, dove le donne facevano parte del “patrimonio” del marito.

D’altro lato, i diritti delle donne e dei bambini erano fin dall’inizio parte integrante del programma della rivoluzionari russa. (…) Nel progetto del Programma del Partito Operaio Socialdemocratico della Russia, scritto da Lenin, già erano contenute rivendicazioni quali, ad esempio, il suffragio universale, uguale diritto al lavoro, l’istruzione universale e gratuita. Nel marzo del 1917, dopo la rivoluzione di febbraio, si tenne a Pietrogrado, il Primo Congresso delle Donne Lavoratrici dove fu approvato un programma con i diritti e le misure relativi alla tutela della maternità e dell’infanzia, che hanno costituito la base del sistema sovietico in queste aree di intervento.


Le prime decisioni

L’esistenza di questo programma aiuta a capire come sia stato possibile avanzare così tanto e così rapidamente. “Il primo stato socialista del mondo, fin dai primi giorni di esistenza, abolì tutte le leggi che discriminavano le donne nella famiglia e nella società. Nel 1919, dopo soli due anni, Lenin richiamò l’attenzione che in questo breve periodo di tempo “il potere sovietico, in uno dei paesi più arretrati d’Europa, ha fatto di più per la liberazione della donna e l’uguaglianza con il sesso” forte ” di ciò che è stato fatto in 130 anni sommando tutte le repubbliche progressiste, istruite e “democratiche” nel mondo”.

In data 8 novembre 1917, il decreto della Pace e della Terra stabilì che l’uso della terra era concesso a tutti i cittadini, senza distinzione di sesso.

In data 11 novembre, fu approvato il decreto che sancì otto ore di lavoro giornaliero, con pause per la refezione, un giorno fisso di riposo settimanale, il diritto alle ferie retribuite e il divieto di lavoro al di sotto dei 14 anni. Lo stesso giorno, fu anche approvato il decreto della Sicurezza Sociale, che forniva la protezione per le malattie, per   la vecchiaia, il parto, la vedovanza, ecc.  Due giorni dopo, la prima ministro donna al mondo assunse la carica di Commissario del Popolo per la Sicurezza Sociale. Il suo nome era Alexandra Kollontai e qualche tempo dopo sarebbe diventata anche la prima ambasciatrice donna del mondo (nel 1922, in Svezia).

Il 31 dicembre fu approvato il decreto che introdusse il matrimonio civile – che divenne l’unico riconosciuto dalla legge –  si legalizzò il divorzio e si concluse la distinzione tra figli legittimi e illegittimi.

Nel mese di dicembre 1918, fu pubblicato il Codice del Lavoro. Abolì diverse discriminazioni (fine della restrizione alle professioni basate sul sesso, vietato il licenziamento delle donne in gravidanza e stabilì, tra l’altro, la parità di retribuzione a parità di lavoro) e fornì le condizioni di sostegno alle famiglie che volevano incoraggiare le donne a lavorare ed intervenire socialmente (ostetriche, infermiere ecc.).


Le donne lavoratrici

Con la rivoluzione fu promossa l’idea che l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro è un elemento chiave per la loro emancipazione. In URSS il numero delle donne lavoratrici è aumentato nel corso degli anni. Nel 1975, le donne erano il 51% dei lavoratori, tre volte e mezzo in più rispetto al 1940.

La specificità del lavoro delle donne fu protetto, prevedendo un’età di pensionamento anticipato rispetto agli uomini (55 per le donne, 60 per gli uomini), e anche la riforma di alcuni settori (50 per le donne del settore industria, 45 a radiologia, ospedalieri e alcune professioni del teatro).

Prima della Rivoluzione d’Ottobre, il tasso di analfabetismo femminile era l’83%. Il salto fu enorme: nel 1986, le donne erano il 59% delle persone con   istruzione superiore e secondaria specializzata, circa il 50% degli ingegneri industriali e del settore agricolo, il 30% dei giudici, tre medici su quattro.


Sostegno alla maternità e all’infanzia

Quattro mesi di gravidanza e congedo di maternità, con stipendio pieno, con la possibilità di soggiornare fino a un anno a casa con il bambino con il lavoro salvaguardato, lavoro più leggero al termine della gravidanza, furono diritti conquistati fin dal 1918.

Il benessere delle donne meritava costante ricerca. La contraccezione era gratuita. Il cosiddetto “parto indolore” – il metodo psico-profilattico – nacque in URSS, essendo stato introdotto nel mondo accademico sovietico nel 1949 da un gruppo di ostetrici e psichiatri. Fu divulgato nel resto del mondo a partire dal 1952, dopo che il famoso francese Lamaze fece uno stage in URSS e tornò a Parigi.

L’allattamento al seno fu accuratamente protetto. Il Codice del Lavoro del 1918 prevedeva che durante il primo anno di vita del bambino, e per tutto il periodo dell’allattamento, la mamma avesse diritto a 30 minuti di tempo ogni tre ore per nutrire il piccolo.

Almeno dagli anni ’50 esistevano banche del latte materno in tutto il paese che garantivano alle donne che per qualsiasi ragione non potevano allattare i figli, il cibo più completo che i bimbi possano avere. Il carattere innovativo di questa misura è ben significativo se ricordiamo che la prima banca del latte umano in Portogallo è nata in via sperimentale nel 2009 e ha ancora una portata molto limitata.

Lo Stato sovietico sviluppò una rete di infrastrutture di supporto e protezione dei bambini, in particolare asili nido e giardini d’infanzia con orari adatti sia al lavoro in turni che al lavoro di carattere stagionale. Queste strutture esistevano sia nelle università che nella maggior parte delle aziende. Ma esistevano anche colonie estive, villaggi turistici infantili, case dei pionieri, ecc.


Una esperienza brillante: la legalizzazione dell’aborto in Urss

Nel 1920 di fronte alla disastrose conseguenze dell’aborto clandestino (la metà delle donne soffriva di infezioni successive e ne moriva il 4%, nonostante fin dal 1918 fosse introdotto un congedo di tre settimane con salario intero in caso di aborto spontaneo o indotto) il governo sovietico legalizzò l’aborto in ospedale pubblicando un decreto per “proteggere la salute delle donne e che il metodo repressivo in questo campo non raggiunge questo obiettivo”. I risultati furono positivi e non ci furono morti o infezioni a seguito di aborti effettuati nei servizi pubblici, e a partire dal 1925 una diminuzione di mortalità infantile e un aumento del tasso di natalità.

Nel 1937 questa normativa cambiò radicalmente. Il Consiglio dei Commissari del CEC del Popolo dell‘URSS dopo un’ampia discussione popolare del progetto di legge, durata quasi un anno, decise di proibire la pratica dell’aborto tranne che per quello terapeutico stabilendo una “critica sociale” alle donne che lo praticassero infrangendo la legge, anche con la prigione,  poiché la stessa legge  presupponeva che le mutate condizioni economiche e sociali potessero essere considerate come il culmine di tutta la lunga e tenace lotta contro l’aborto condotta fin dal 1920.


Partecipazione politica

Nel 1974 il 31% dei componenti del Soviet Supremo era costituito da donne, il 36% nei Soviet Supremi delle Repubbliche Federate e Autonome e il 47% nei Soviet locali.

A dimostrazione che esiste una rapporto intimo tra ideologia e partecipazione e che i diritti non sono garantiti per sempre occorre registrare il fatto che nelle prime elezioni chiamate “libere” dopo la sconfitta del socialismo nei paesi dell’ex URSS la presenza delle donne elette nei parlamenti nazionali fu compresa tra il 3,5 e il 20%.

Le faccende domestiche

“Non soddisfatto dall’eguaglianza formale delle donne, il Partito lotta per liberare le donne da ogni responsabilità domestica obsoleta, sostituendola con case comunali, mense pubbliche, lavanderie pubbliche, asili nido, ecc” – si legge nel programma politico del Partito Comunista Russo (bolscevico), approvato nel suo 8 ° Congresso nel 1918.

Non si dispone di dati sistematici sul grado di raggiungimento di questi obiettivi, ma è noto che ci furono diverse agevolazioni a prezzi molto bassi in mense, lavanderie, laboratori, etc.

Nonostante i progressi, nel 1975 in un’edizione speciale della rivista “La vita sovietica, dedicata all’anno internazionale della donna”, fu presentato uno studio sociologico che dichiarava che” intervistato circa il 60% delle lavoratrici di diverse città, queste risposero che facevano i lavori di casa, senza l’aiuto dei loro mariti”.

Nella Conferenza del Partito Comunista Portoghese su ‘Emancipazione delle donne in Portogallo di Aprile’, il testo finale considerava a questo proposito che “non scompaiono improvvisamente i pregiudizi sulle donne, e la loro emancipazione non si verifica automaticamente con i nuovi rapporti di produzione”.

Le donne e la guerra

La drammatica dimensione della perdita di vite umane durante la Seconda guerra mondiale, che ha ucciso 20 milioni di sovietici, naturalmente ebbe conseguenze nella composizione demografica della società. Durante la guerra le donne presero i posti resi vacanti dagli uomini che andarono ai fronti di battaglia, e dopo la guerra il loro lavoro continuò ad essere essenziale per la produzione e lo sviluppo economico.

Ma le donne sovietiche parteciparono anche in prima persona alla guerra. Il servizio militare fu aperto alle donne nel 1939. Si stima che più di 800.000 donne parteciparono direttamente ad azioni di battaglia e di guerriglia, e furono la metà dei medici distaccati al fronte. Sono famosi i reggimenti aerei con esclusivamente tiratori di sesso femminile, in particolare, il 46esimo Reggimento di bombardamento in picchiata, che cominciò ad operare nel 1941, e per la cui efficacia guadagnò da parte dell’esercito nazista, l’epiteto di “Streghe della notte”.

 soviet delle donne

“La nuova morale sovietica si affermò a fatica nella vita, nella coscienza delle persone. In queste condizioni, i Soviet delle donne costituirono un potente e al tempo stesso penetrante strumento, con l’aiuto del quale è stato possibile eliminare i costumi secolari in un tempo relativamente breve (10-15 anni circa)”.

Uno degli abitanti di Ianguiiul (città Uzbekistan), contemporaneo di questi eventi, ci disse che le prime attiviste dei Soviet furono donne russe espressamente inviate dal Partito Comunista, per aiutare i loro compagni uzbeki, tagiki, kirghizi, turkmeni. Dirigevano i gruppi di alfabetizzazione, indirizzavano le donne all’attività sociale, alla partecipare alla produzione, e svilupparono una grande attività per far acquisire agli uomini la consapevolezza della necessità di porre fine ai vecchi metodi, per far loro capire che le donne dovevano avere gli stessi diritti degli uomini.

“Nel nostro paese (…) le donne organizzarono dei corsi di cassiera. Quando iniziarono a lavorare nei negozi, molte persone si riunirono a vedere perché non credevano che le donne potessero essere in grado di misurare e pesare con precisione una merce o di contare i soldi. Attualmente ci sono nelle nostre città centinaia di medici, insegnanti, ingegneri”.

Proponiamo un estratto da un libro di Anna Louise strong, “L’era di Stalin”.
In poche pagine viene raccontato il processo processo di emancipazione delle donne in Unione Sovietica, in special modo nelle regioni più arretrate culturalmente e ed economicamente dell’Asia Centrale.

[…] In tutte le parti dell’Unione Sovietica il mutamento della condizione della donna fu uno dei cambiamenti più importanti della vita sociale. La rivoluzione diede alla donna l’eguaglianza legale politica: a questa, l’industrializzazione fornì la base economica nell’eguaglianza del salario. Ma in ogni villaggio, erano ancora vive le abitudini durate per secoli, e le donne dovevano lottare contro il loro potere. Di un villaggio siberiano, per esempio, si seppe che, dopo che le fattorie collettive ebbero dato alle donne un salario indipendente, le spose “scioperarono” contro il venerando costume patriarcale di battezzare le mogli e lo spezzarono in una settimana.

«La prima donna eletta dai Soviet nel nostro villaggio si prese gli scherni di tutti gli uomini – mi raccontava una presidentessa contadina. – Ma all’elezione successiva, eleggemmo sei donne, e adesso tocca a noi di ridere». In Siberia, nel 1928, incontrai venti di queste donne presidenti di Soviet sul treno per Mosca, dove andavano a partecipare a un congresso femminile: la maggior parte di esse viaggiava in treno per la prima volta, e una sola era già stata fuori della Siberia nella sua vita. Erano state invitate a Mosca a “consigliare il Governo” sulle esigenze delle donne: i loro distretti le avevano elette, e adesso andavano.

La lotta più dura per la libertà delle donne fu quella che si svolse nell’Asia centrale. Qui, le donne erano semplici oggetti di proprietà: vendute giovanissime per il matrimonio, non apparivano più in pubblico, da quel momento, senza l’orribile paranja, un lungo velo nero tessuto di crine di cavallo, che copriva tutto il volto, ostacolando la vista e la respirazione. Per tradizione, i mariti avevano il diritto di uccidere la moglie che si fosse tolta il velo: e i mullah – i preti musulmani – sostenevano questa tradizione con l’autorità della religione. Donne russe portarono un primo messaggio di libertà in queste tenebre: nei nidi d’infanzia, che esse organizzarono, le donne indigene impararono a togliere il velo in presenza l’una dell’altra, e a discutere i diritti della donna e i mali del velo. Il partito comunista fece pressioni sui suoi membri perché permettessero alle loro mogli di togliere il velo.

Ma questo sarà un anno storico per i nostri paesi: l’anno in cui la faremo finita con l’orribile velo». Questa risoluzione veniva lanciata proprio mentre alcuni eventi tragici ne sottolineavano la portata. Il corpo di una ragazza, studentessa a Tashkent, che aveva voluto dedicare le sue vacanze al lavoro di agitazione per i diritti della donna nel suo villaggio natio, fu rimandato a pezzi alla scuola, su un vecchio carro con scritto: “Questo è per la vostra libertà delle donne”. Un’altra donna, che aveva rifiutato le attenzioni di un padrone di terre e sposato un contadino comunista, fu assalita da una banda di diciotto uomini sobillati dal signorotto: la violentarono, mentre era all’ottavo mese di gravidanza, e gettarono il suo corpo nel fiume.

Vi furono poesie, scritte dalle donne, e che esprimevano la loro battaglia. Per Zulfia Kalin, una combattente della libertà delle donne che fu arsa viva dai mullah, le donne del suo villaggio composero un canto di dolore:

O donna, la tua lotta per la libertà non sarà
dimenticata in questo mondo.
Il tuo fuoco: non pensino che ti abbia consumata!
La fiamma in cui ti hanno arsa
è una fiaccola nelle nostre mani.

Buchara, la “città santa”, era la città di questa ortodossia d’oppressione. Qui, nella città “santa”, fu organizzata una drammatica azione collettiva di getto del velo. Verso l’8 marzo, Giornata internazionale della donna, corse voce che «qualcosa di spettacolare sarebbe accaduto»: in quel giorno, comizi di massa di donne furono tenuti in diversi luoghi della città e le oratrici chiesero all’auditorio che «si levassero il velo tutte insieme». Allora le donne passarono davanti al palco: giunte di fronte al podio, gettarono il velo, e poi, tutte insieme, andarono a sfilare per le strade. Erano state erette delle tribune, per i dirigenti e membri del Governo, che salutavano la sfilata. Altre donne uscivano dalle loro case, si univano alla sfilata e gettavano il velo davanti alle tribune. Così fu rotta la tradizione del velo nella sacra Buchara. Molte, naturalmente, rimisero il velo prima di comparire di fronte agli irati mariti: ma da allora, i veli per le vie di Buchara furono sempre più rari.

Per l’emancipazione delle donne, il potere sovietico impiegò diverse armi: l’istruzione, la propaganda, le nuove leggi, tutto vi ebbe la sua parte. Vi furono grandi processi pubblici di uomini che avevano ucciso le loro mogli, e la nuova propaganda dava un sostegno ai giudici che comminavano la pena di morte per un atto che l’antico costume non aveva considerato delitto. Ma lo strumento più importante dell’emancipazione fu, come nella Russia vera e propria, l’industrializzazione.

A Buchara, in quell’epoca, visitai anche un setificio nella città vecchia. Il direttore – un uomo pallido, esausto, impegnato in una corsa insonne per costruire dal nulla un’industria completamente nuova – mi diceva che la fabbrica, secondo i calcoli, non sarebbe stata attiva economicamente per un bel pezzo: «Stiamo addestrando delle contadine, che dovranno dare i quadri dei futuri setifici del Turkestan. La nostra fabbrica è uno strumento applicato consapevolmente per spezzare la tradizione del velo: noi esigiamo che le operaie si tolgano il velo in fabbrica».

Le canzoni composte dalle giovani tessitrici parlavano del nuovo senso della loro vita simbolizzato dallo scambio del velo col caratteristico copricapo delle donne russe, il fazzoletto.

Quando presi la via della fabbrica
vi trovai un fazzoletto nuovo.
Un fazzoletto rosso, di seta
comprato col lavoro delle mie mani.
In me c’è il rombo della fabbrica:
mi dà ritmo
ed energia.

Non si può non ricordare, leggendo queste parole, la Canzone della camicia di Thomas Hood, che esprimeva invece la fatica delle donne nelle fabbriche inglesi della rivoluzione industriale:

Con le dita stanche e consunte
Le palpebre rosse e pesanti,
In stracci non femminei
Una donna sedeva col suo ago e il filo.
Cucire cucire cucire
Miseria fame sporcizia.
Eppure (il tono della sua voce era dolente)
Cantava – la canzone della camicia.

Nell’Inghilterra capitalista la fabbrica apparve come uno strumento di profitto e di sfruttamento. Nell’Unione Sovietica, essa non fu solo uno strumento di ricchezza collettiva, ma un mezzo consapevolmente usato per spezzare vecchie catene. […]

“L’era di Stalin” (La città del sole, 2004, pag 97-100)

Storia del movimento comunista: come vivevano le donne nell’URSS?